di Ilaria Di Giustili
Il ritratto tramanda la fisionomia dell’individuo.
Riflette la personalità dei modelli ritratti nel loro aspetto fisico, morale, psicologico e intellettuale, nella loro grandezza e semplicità.
La fotografia è un’immagine perfetta della realtà, filtrata dalla visione e della sensibilità del creatore dell’immagine. Non è un semplice prodotto di una tecnica. La tecnica si impara e in breve tempo per metterla al servizio del gusto artistico che invece non si impara molto facilmente.
I primi ritratti venivano chiamati “disegni fotogenerati “ (Talbot)
All’inizio si diceva che la fotografia era il dominio dei pittori falliti.
Io sono un pittore fallito. Ho iniziato disegnando per poi approdare alla fotografia di Ritratto perché non riuscivo a disegnare i volti. Mi riusciva bene disegnare i paesaggi.
I primi ritratti venivano scattati con tempi molto lunghi, 8/10 minuti. Era impossibile stare fermi, per questo le persone venivano fatte sedere con dei sostegni dietro la testa. Apparivano rigide e serie, non rispecchiavano la loro personalità.
Per diminuire il tempo di esposizione, i fotografi ritrattisti allestivano lo studio all’aperto.
Studio di Talbot a metà 1800
Gli studi fotografici si trovavano all’ultimo piano dei palazzi in appartamenti con grandi vetrate, in delle serre con i vetri dipinti di bianco per ottenere una luce diffusa, morbida.
I miei Ritratti li realizzo in intimità con la persona, come un pittore, nel mio piccolo studio nella mia abitazione di Roma, nel silenzio e senza assistenti. La luce naturale che entra dalla finestra accarezza i volti con garbo.
Il mio studio di Roma
All’inizio i fotografi si sforzavano di rimanere fedeli alla realtà. In seguito ricorsero indiscriminatamente a tecniche di ritocco e abbellimento eseguite da un pittore.
La post-produzione è sempre esistita.
Quando fotografavo in analogico (1980/2006) ritoccavo e abbellivo i miei ritratti in fase di ripresa con filtri floo che sfumavano la pelle. In camera oscura usavo una calza di nylon che passavo tra l’ingranditore e la carta fotografica durante l’esposizione. Oggi è tutto più semplice con il digitale e l’utilizzo di App specifiche per il foto-ritocco. Non date retta a chi dice che prima non si post-produceva.
Il ritratto è uno specchio per l’eternità.
Nel 1840 Alexander Wolcott chiamò il suo studio “Lo specchio dotato di memoria”. Cosa centra lo specchio? I primi ritratti si facevano direttamente su carta e venivano speculari e per “raddrizzarli” i soggetti venivano fotografati indirettamente, attraverso uno specchio.
A volte, quando il soggetto non è a suo agio uso lo specchio. Lo posiziono dietro di me. La persona si guarda e non pensa più alla macchina fotografica che molte volte imbarazza.
Nel ritratto cerco garbo e spontaneità, amore. Cerco la loro bellezza, quella bellezza che rende unica la persona. Cerco di farla emergere attraverso sguardi e spontaneità. Cerco la luce adatta. A volte l’aspetto.
Set allestito a casa del cliente
Difficilmente uso la luce artificiale. Non amo gli schemi luce.
Ogni persona è unica e unica deve essere la luce che li illumina per poter ottenere un ritratto personale.
Ognuno ha la sua bellezza e per questo merita la sua luce.
Nella post-produzione mi limito a togliere le imperfezioni della pelle. Raramente intervengo sulle forme del viso, solo quando l’immagine mette in evidenza difetti che nella realtà non si notano o non sono così evidenti.
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